Nonviolenza: è ancora possibile?
Riflessioni sull’attualità della lotta nonviolenta: prospettive, scenari, ipotesi per l’azione
a cura di Progetto Nonviolento Milano
0. Premessa
In un’ottica costruttiva, e mentre tentavamo di ideare una sorta di sintetico “corso” di divulgazione dei possibili strumenti della nonviolenza politica, ci sono nate alcune riflessioni che riportiamo in questo articolo, sperando di aiutare noi tutte e tutti nel difficile percorso di elaborazione politica in essere.
La constatazione di base, che già dal 2020 emerge con chiarezza, è questa: c’è stato un cambiamento profondo della nostra società che ha portato alla fine dello Stato di Diritto.
Il potere oggi agisce in una sostanziale impunità. Davanti agli abusi degli “anni pandemici”, davanti alla nauseante propaganda bellica della NATO in Ucraina, davanti alla sfrenata crudeltà del massacro di Gaza e agli attacchi di Israele a stati sovrani al di fuori di ogni quadro di legge, sembra che gli standard siano saltati e lo stesso concetto di umanità stia subendo un attacco.
Si impone un ragionamento sulla nonviolenza come la conosciamo, e un’analisi delle conoscenze di cui siamo in possesso, perché in fondo è sul riconoscimento della comune umanità che la nonviolenza lavora, e su questo conta per agire.
Già ci eravamo posti tale questione nel 2022, e le nostre riflessioni culminarono nel convegno “La nonviolenza nell’era dell’emergenza” in cui, insieme a diversi relatori e relatrici coinvolti a vario titolo sia nell’elaborazione nonviolenta che nella lotta alle “politiche pandemiche”, ci chiedevamo come impostare strategie e pratiche su questa strada, dopo il drammatico biennio 2020-2022.
I due anni successivi hanno visto lo scatenarsi di una guerra su suolo ucraino e di un massacro di proporzioni mai viste nella striscia di Gaza, mentre le garanzie istituzionali e di diritto hanno continuato a erodersi. La riflessione deve continuare, insieme alla ricerca di vie pratiche per darle corpo e opporci alla militarizzazione, alla guerra, alla disumanizzazione che vediamo dispiegarsi sotto i nostri occhi.
A latere è utile ricordare che “nonviolenza” non significa semplicemente “non aggressione” e che una azione nonviolenta non è contraddistinta semplicemente dalla mancanza di atteggiamento violento, offensivo o aggressivo: parliamo di un pensiero politico organico, complesso, alternativo a quello corrente e dunque controintuitivo, che va studiato e ragionato, e che spesso è volto ad aprire un conflitto.
Per una introduzione al tema, rimandiamo alla lezione online che inaugura il ciclo “Scuola di nonviolenza“. Essa per molte persone è anche una strada di vita, qui la intendiamo primariamente come metodo di lotta politica.
Uno dei principi alla base dell’azione nonviolenta è, come già detto, il riconoscimento della comune umanità da tutte le parti del conflitto.
Ciò non riguarda solo chi attua l’azione nonviolenta, ma anche il fronte opposto: nella pratica significa che, se una o più persone smettono di alimentarsi, la parte avversa non vorrà vederle morire di fame – se non per schietta preoccupazione, per la consapevolezza che l’umanità è considerata importante dall’opinione pubblica e che quindi la sua lesione sarà un danno di immagine.
Oppure: nel momento in cui un gruppo di persone si siede su dei binari, ad esempio per bloccare un treno che trasporti armi per una guerra, è ovvio che lo fa con la certezza che il treno verrà fermato.
(Per questa ragione, le azioni di sciopero della fame sono il culmine di un processo e non un qualcosa a cui si ricorre a cuor leggero come mera arma di ricatto. E per la stessa ragione, il blocco indifferenziato della circolazione che coinvolga generici automobilisti non è da considerarsi automaticamente azione nonviolenta).
La questione, allo stato attuale dei fatti, è: come possiamo essere sicuri che oggi quel treno non ci venga invece scagliato addosso?
Come facciamo a contare sul fatto che un’azione nonviolenta che sia volta, ad esempio, a farci arrestare, e smascherare così l’abuso del potere, non si risolva in un inutile sacrificio umano, visto che il potere non si cura più di nascondere i propri abusi, e la maggioranza dell’opinione pubblica sembra immersa in uno stato di torpore inerte o persino colluso?
Lo spirito di sacrificio fa parte del complesso bagaglio di chi intraprende una lotta nonviolenta. Ma questo non significa una vocazione automatica a un martirio fine a sé stesso. Un qualche tipo di efficacia deve necessariamente infondere l’intenzione nonviolenta, se essa vuole essere azione politica, o almeno tentare di esserlo, e se ha la speranza, se non di imprimere un cambiamento sull’esistente, almeno di indicarne la possibilità.
[CONTINUA
Prima parte – Situazione attuale
“1.1 – Fine della “civiltà” come l’abbiamo conosciuta?”]